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LA CHIRURGIA ENDOSCOPICA, NUOVI    SCENARI IN CAMPO OTOIATRICO
 
     
 

Numerosi sono stati i passi in avanti compiuti dalla chirurgia negli ultimi anni al fine di ottenere un’invasività sempre minore nei  confronti dei pazienti. Su questa via, una tra le tecniche che  hanno ottenuto maggiore successo è stata quella endoscopica  che, nata per altri settori chirurgici, ha trovato in campo   otoiatrico uno sviluppo particolarmente felice. Per conoscerne i vantaggi, ma anche i limiti, abbiamo incontrato il professor Stefano Di Girolamo, docente di otorinolaringoiatria presso  l’Università romana di “Tor Vergata” e direttore del Master di II   livello in “Chirurgia del naso, dei seni paranasali e del massiccio   frontale” in corso presso l’ospedale “Casa Sollievo della   Sofferenza” di S. Giovanni Rotondo.

Professore, come si è arrivati all’utilizzo dell’endoscopia in   campo chirurgico?

La crescita di questa tecnica negli ultimi tempi ha consentito   anche in otorinolaringoiatria di passare da un approccio iniziale   esclusivamente diagnostico al trattamento di una serie sempre più ampia di patologie. Nel corso degli anni l’endoscopia è riuscita a trattare i pazienti con tecniche mini-invasive che consentono di non fare incisioni della cute e di arrivare al sito da operare in modo diretto, attraverso la cavità nasale. All’inizio così sono state curate le patologie benigne, prima fra tutte la poliposi nasale. In seguito, con l’affinarsi delle tecniche e degli strumenti, si è passati a trattare i tumori benigni e poi, da almeno cinque/sei anni, grazie ai professori Castelnuovo di Varese e Nicolai  Brescia, i tumori maligni dei seni paranasali. Così si è riusciti a ridurre al minimo interventi prima devastanti quali la resezione cranio-facciale. Negli ultimi anni si è giunti a operare per via endoscopica anche le fistole cranio-liquorali evitando pure in questo caso interventi neurochirurgici particolarmente invasivi. Infine, ultima frontiera della chirurgia endoscopica, gli interventi sul basicranio e il trattamento delle patologie della sella e dell’ipofisi.

E gli interventi per correggere le deformità del setto nasale? Oggi possono essere eseguiti senza anestesia generale, senza ricovero e, soprattutto senza dolore?

Diciamo che il dolore, nell’atto operatorio c’è, ma oggi, con le nuove tecniche anestesiologiche si ha meno sanguinamento, il paziente non ha alcun fastidio e la sera stessa va a casa. Si tratta di una rivoluzione anche perché, grazie alla diagnostica endoscopica e a un’eventuale TAC, da subito andiamo a intervenire sulla patologia, mentre prima si operava un po’ al buio.

Dopo quanto un paziente trattato per via endoscopica riprende la vita normale?

La chirurgia nasale non è una chirurgia dolorosa, il vero fastidio è stato sempre costituito dai tamponi. Oggi, quando vengono ancora messi, sono rimossi dopo 24/48 ore.

E per gli interventi estetici sul setto nasale?

In questo caso la tecnica endoscopica può essere di supporto, ma la chirurgia estetica segue un approccio un po’ diverso. Non per nulla il Master in chirurgia nasale che dirigo, nel suo primo modulo si è occupato di chirurgia estetica e nel secondo di chirurgia endoscopica.

Qual è la sede di questo Master?

San Giovanni Rotondo, in Puglia, presso l’Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”. I corsi si svolgono lì grazie alla convenzione esistente con l’Università di Tor Vergata presso cui sono docente. Vorrei dire poche parole su questo ospedale, un’Istituzione voluta a suo tempo con tutte le sue forze da Padre Pio e che oggi, come Ente privato, resta un po’ più libero dai laccioli della Sanità nazionale, grazie anche a importanti donazioni che hanno consentito, ad esempio, di comprare una PET e altri strumenti che non è sempre facile trovare negli ospedali italiani. Con in più, il che non guasta, una qualità media dei suoi medici certamente buona.

Come è stato organizzato il Master?

Si è articolato in quattro moduli, tutti con docenti italiani, dopo l’esperienza del 2005 in cui sono stati coinvolti molti stranieri; i primi tre moduli si sono svolti tra marzo e giugno interessandosi di chirurgia estetica, chirurgia endoscopica, diagnosi e terapia delle apnee ostruttive. Il quarto, sulla chirurgia pre-implantare del mascellare superiore, si terrà il 24 e il 25 di ottobre prossimi. Con l’opportunità per i partecipanti di poter svolgere stages di settimane o di mesi nei reparti dei docenti del Master.

Perché avete scelto di dedicare il terzo modulo alle patologie ostruttive?

Perché ormai siamo di fronte a un problema molto grave, basti dire che un terzo degli incidenti stradali dipende da queste apnee notturne, produttrici di un cattivo riposo che può causare i tanto temuti colpi di sonno, soprattutto nei camionisti. In molti Paesi, come gli Stati Uniti, chi conduce un mezzo pesante o un mezzo pubblico ha l’obbligo, ogni due/tre anni, di svolgere tutta una serie di esami necessari a escludere queste patologie.

Il quarto modulo invece si occuperà della chirurgia del seno mascellare.

Sì e si svolgerà in collaborazione con i colleghi odontoiatri sulla base di un approccio multidisciplinare. Perché, come nella chirurgia endoscopica collaboriamo con i neurochirurghi, così nella chirurgia del seno mascellare collaboriamo con i dentisti aiutandoli nel rialzo di questa sede per poi permettere sia i diversi impianti dentari che la gestione, quando capitano, di complicanze come sinusiti mascellari o fistole orantrali.

Multidisciplinarietà, collaborazione tra diverse specializzazioni, mini-invasività. La chirurgia ha fatto passi da gigante negli ultimi decenni. Tanto da poterci sottoporre a un intervento ragionevolmente sicuri della sua buona riuscita?

Sì, ma fino a un certo punto perché la medicina non è una scienza esatta e il chirurgo resta comunque un artigiano, anche se altamente specializzato. Per questo sono importanti le casistiche relative agli interventi di ogni chirurgo. In Inghilterra, se una persona vuole essere operata, ha il diritto di chiedere al suo chirurgo l’elenco dei suoi interventi, elenco che viene fornito con accanto il numero di telefono delle persone che sono state operate da lui. In Italia, su questo punto, esiste un vuoto legislativo.

Malgrado ciò, un paziente può essere fiducioso qualora debba sottoporsi a un intervento nel nostro Paese?

Sono più di venti anni che faccio il chirurgo in Italia, ma ho anche girato il mondo e posso dire che la Sanità del nostro Paese ha un livello medio molto elevato e numerosi picchi di eccellenza. Il vero problema è che esistono pure delle zone dove si è molto lontani da un livello accettabile di assistenza, particolarmente nel sud. E nel futuro la situazione potrebbe peggiorare a causa della crisi economica in cui versa lo Stato italiano e, paradossalmente, dei progressi della stessa medicina che, permettendo la cura di molte altre malattie, allungherà ancora di più la vita dei pazienti i cui costi, quindi, graveranno sempre di più sui bilanci.

Dovremo quindi munirci tutti di assicurazioni?

Sarebbe auspicabile, anche se il sistema dovrebbe essere differente dagli Stati Uniti dove esiste una sanità soprattutto privatistica. Mi auguro che in Europa si riesca a trovare una giusta via di mezzo in cui, garantendo comunque i meno abbienti, si estenda il più possibile l’utilizzo della assicurazioni private, grazie anche a una politica fiscale favorevole. Resta poi il grande problema dei malati terminali. Con l’introduzione dei DRG (in Italia DRO, Raggruppamenti Omogenei di Diagnosi, ndi) si è iniziato a selezionare la patologia, con gli ospedali che tendono a ricoverare i pazienti con il DRO più favorevole. Esistono quindi patologie più remunerative e patologie meno remunerative, queste ultime viste come negative, con una discriminazione dei pazienti che dal punto di vista etico non è accettabile.

Esiste un collegamento tra questo sistema ed episodi come quello che si è verificato nella clinica S. Rita di Milano alcuni mesi fa?

Quello che è avvenuto a Milano é il naturale prodotto di quei DRO di cui parlavamo prima, mentre il lavoro in ospedale è un servizio, un servizio per cui non si dovrebbe emettere fattura, come invece accade oggi in Italia, proprio perché si tratta di un’azione a tutela della salute dei pazienti. Gli Stati Uniti, che avevano introdotto per primi i DRG, ora non li usano più per contrastare questo sistema in cui ogni istituto cerca di ottenere il massimo risarcimento con il minimo costo, con in più, in Italia, il fatto che il medico deve raggiungere degli “obiettivi” di introito, altrimenti gli tolgono letti e personale.

Molti problemi quindi, con in più il grido d’allarme lanciato lo scorso luglio dal Presidente dell’Ordine, Amedeo Bianco, sulla riduzione – stimata in 70.000 unità- dei chirurghi in Italia nei prossimi anni.

Non ne sono sorpreso, visto che già oggi il 50% dei posti nelle scuole chirurgiche italiane resta scoperto. Cosa inimmaginabile fino a pochi anni fa, ma spiegabile in tempi in cui diventare chirurgo costa moltissimo dal punto di vista formativo, a fronte poi di rischi medico-legali enormi. Questa professione richiede tanto sacrificio, notti di guardia e di studio sui libri, senza escludere la possibilità di contrarre epatiti o, peggio, virus come l’HIV. Alla fine, tirando le somme, oggi, se un mio figlio dovesse dirmi di voler fare il chirurgo io, benché figlio e nipote di medici, lo sconsiglierei con decisione.

Sulla base di questa sua esperienza familiare, cosa pensa delle “dinastie” nella sua professione?

Per far sì che un figlio oggi divenga medico, e chirurgo, occorrono tanti sacrifici da parte della famiglia. Ovviamente, se un giovane ha un genitore nel campo, possiede una via preferenziale. Ma quello che conta in un uomo, e in un medico in particolare, sono i suoi valori personali: se questo medico pensa per prima cosa al suo interesse, economico in particolare, allora qualcosa da curare o da operare lo trova. E qui si arriva a un’altra nota dolente della medicina italiana, dove l’Ordine dei Medici dovrebbe vigilare, ma spesso latita. In questo campo è grande la differenza rispetto agli Ordini di altri Paesi, e a quello inglese in particolare, a cui sono iscritto e di cui è nota la severità in caso di abusi

 

 
     
  
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