home
chisono
articoli
links
contacts
news
 

 

   
   
   
   
   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

     
 

PIANA DELLE ORME, QUANDO RELAX E STORIA VANNO A BRACCETTO

 
     
 

Si corre un solo rischio, visitando il Museo di Piana delle Orme, pochi chilometri a sud di Latina*: quello di perdere la nozione del tempo, rapiti dalle emozioni, dallo stupore di scoprire oggetti, suoni, addirittura odori, della nostra infanzia, delle nostre tradizioni, del “come eravamo”, della Storia del ‘900 di questo Paese. E tutto per merito della passione genuina, per qualche aspetto fanciullesca, di Mariano De Pasquale, un uomo semplice, che ha dedicato tutta la sua vita, purtroppo stroncata da una malattia lo scorso settembre a soli 68 anni, al lavoro e al collezionismo.

“Raccoglieva ogni oggetto che potesse raccontare la Storia – spiega Alda Dalzini – direttrice del Museo e fidata collaboratrice di De Pasquale fin dal 1991 – e così collezionava ricordi”. Figlio di allevatori trasformatisi poi in agricoltori, originario della provincia di Messina, De Pasquale si trasferì nella zona di Latina, a Borgo Sabotino, con tutta la sua famiglia alla fine degli anni ’50. Qui conobbe la realtà della bonifica pontina e se ne appassionò. Iniziata nel 1962 con una vecchia jeep data in pagamento per una partita di fiori (nel frattempo era divenuto floricoltore), ben presto la sua collezione di oggetti - tutti, seguendo la sua regola-prima, restaurati e funzionanti – raggiunse la ragguardevole cifra di 50 mila reperti. “È a questo punto che scatta la grande intuizione di De Pasquale – continua nel suo racconto Alda Dalzini – per dare un senso a tutta la sua collezione: costruire un grande museo in cui netto fosse il rifiuto della guerra, dove il visitatore potesse vedere cosa provoca, cosa è un conflitto”. E lo spunto gli venne da un ricordo: quello del padre che lacero e amareggiato, rientra a casa dopo cinque anni di guerra, poggia lo zaino a terra e pronuncia poche, ma nette parole: “Che la guerra ora se la facciano loro!!”.

Per fare ciò, De Pasquale rileva un’azienda avicola adiacente alla sua ditta di produzione floreale, vi impianta una struttura agrituristica e inizia a costruirci il suo museo, inaugurato il 29 novembre 1997. “Tutto fu fatto con molta fretta – ricorda la direttrice – come peraltro in ogni altra cosa della sua esistenza. Era come se avesse un presentimento…….”.

Così è nata la struttura museale di Piana delle Orme, con oltre 25 mila metri quadrati espositivi suddivisi in 11 padiglioni tematici, tutti sempre fruibili dai visitatori (chiusura soltanto nel giorno di Natale) con orari molto flessibili, servizi di accoglienza, un ristorante e una mensa self-service, guide formate dallo stesso museo e ampi spazi di verde con aree attrezzate per i pic-nic. Senza dimenticare la funzione didattica della struttura. “Tutti i pezzi all’interno dei padiglioni – spiega la direttrice – sono inseriti in diorami (scenografie, ndr) che fanno rivivere la storia. Vogliono essere strumenti di conoscenza e di memoria per i molti ragazzi che vengono qui in visita, in un museo che non raccoglie cose morte, ma piuttosto vuole essere una chiesa dove si celebra il passato”.

Ma ora è il momento di iniziare il nostro “viaggio” che prende le sue mosse dal padiglione dedicato ai Giocattoli d’epoca, l’unico costituito con pezzi prestati da generosi donatori. A questo proposito Alda Dalzini conserva il ricordo del momento in cui arrivarono al museo questi giocattoli, quando vide De Pasquale prendere alcuni di questi oggetti e rigirarli tra le sue mani molto grandi e indurite dal lavoro: “Era spaesato, si trovava davanti a qualcosa che non aveva mai conosciuto, non avendo praticamente mai giocato da bambino. E si chiedeva, e mi chiedeva, se fossero veramente belli, se un bambino li avrebbe apprezzati, lui che bambino non lo era mai stato”. Un dubbio risolto positivamente, se per i suoi piccoli ospiti ha poi voluto costruire una città di fantasia, al cui ingresso domina un grande: “C’era una volta…. ”. Ma qui non si sentono di casa soltanto i piccoli, anche gli adulti possono trovarvi qualcosa che li faccia tornare indietro nel tempo: trenini, automobiline di latta, autocarri, gru, la stazione di polizia, quella dei pompieri, la casa delle bambole, e poi, ancora, tanti soldatini e infine, decine e decine di aerei e navi di ogni epoca perfettamente riprodotti e in scala. Il sogno di ogni appassionato di modellismo.

Da qui si esce per entrare nel secondo padiglione, non senza ammirare gli splendidi pavoni che danno mostra di sé in uno spazio recintato. E siamo alla Bonifica delle Paludi Pontine, un’opera già tentata dal Papato nel corso del ‘600 e del ‘700 e poi dai Governi dell’Italia risorgimentale, ma seriamente organizzata e portata a termine soltanto da Mussolini a metà degli anni ’30. Il percorso inizia con una ricostruzione grafica della situazione di queste zone prima del ’28, anno in cui prende il via la grande bonifica. Si passa quindi per la ricostruzione di una fattoria di “lestraioli”, ovvero gli abitanti che stagionalmente si insediavano in quell’ambiente ostile e malarico, con tanto di suoni animali e audio-guide in più lingue. Poi le grandi opere, con attrezzature e idrovore all’avanguardia tecnologica per quei tempi. E alla fine il trattore con cui Mussolini, in una posa da “novello Romolo” immortalata da una grande foto, volle tracciare il perimetro di quella che sarebbe divenuta la città di Aprilia. E siamo così alla fase della colonizzazione delle nuove terre strappate alle paludi pontine. Fu l’Opera Nazionale Combattenti a occuparsene convincendo a trasferirsi in queste zone dal nord Italia (Veneto, Friuli, Emilia-Romagna, Lombardia, tutte regioni dove la disoccupazione era molto forte) circa 3 mila famiglie che qui ottennero l’assegnazione di un podere ciascuna, con annessa la stalla, il portico, il fienile, il forno, il pozzo, l’abbeveratoio, l’aia, il pollaio e il porcile.

Ma per lavorare la terra occorrono gli attrezzi adatti e ai Mezzi agricoli d’epoca è dedicato il terzo padiglione che riserva ai visitatori alcune “chicche”, dei veri pezzi d’antiquariato, come un torchio di legno del ‘700, un antichissimo aratro a chiodo, insieme a una “spannocchiatrice manuale” e una trebbiatrice degli anni ’50. “Qui il nostro intento – spiega la direttrice – è stato quello di rappresentare il lungo cammino che l’umanità ha dovuto percorrere per raggiungere quei risultati di benessere alimentare, economico e sociale che oggi appartengono alla nostra società”. Non potevano mancare, a questo punto, i due padiglioni successivi, dedicati alla Vita nei campi, per un percorso che dal nord al sud dell’Italia conduce i visitatori attraverso il mondo della civiltà contadina del nostro Paese. Dodici le sezioni, con la prima dedicata al ciclo del vino. Qui enormi botti ci accolgono in un ambiente tanto perfettamente riprodotto che anche l’odore nell’aria è quello giusto; segue un’altra sezione dedicata al ciclo dell’olio con un intero frantoio funzionante ed enormi giare pronte ad accogliere il “nettare” prodotto. E poi il ciclo del grano, con una macina, e quello dell’acqua, con un sistema di sollevamento da pozzo anche questo ancora funzionante. Seguono l’alpeggio, con la riproduzione di un torrente che scorre, la fienagione e il ciclo del latte, con tante “mucche” virtuali che fanno sentire il visitatore come in una vera e propria fattoria. Infine, il ciclo dell’industria boschiva (anche qui gli odori sono quelli veri!) e quello del carbone, alcuni carretti, un’officina da fabbro. A chiudere, il tema dell’emigrazione anni ’50 e ’60, quando la nascita dell’industria italiana nel nord costringe tante famiglie contadine ad abbandonare le campagne e a spostarsi in città.

Siamo così giunti a metà del lungo percorso espositivo (per una visita accurata occorrono circa quattro ore). Uscendo dall’ultimo capannone della fila di sinistra, si attraversa il lungo viale di eucaliptus e si riprende questo “viaggio” nel Novecento italiano. Ma al centro del viale ci attendono due “protagonisti” della visita: un Fairchild C – 119, detto anche “Vagone volante”, un aereo da trasporto acquistato dal museo nel ’98 i cui motori si possono avviare, pagando pochi euro e spingendo un pulsante, e poi una delle ultime lomotive – tender a vapore, la FS Gr 835 051, anche questa funzionante con lo stesso metodo del Fairchild.

A questo punto la visita cambia il suo orizzonte e, abbandonata la realtà contadina, ci si ritrova immersi in quella della guerra, qui descritta in tutta la sua semplice tragicità. Per primi i Mezzi bellici d’epoca, con semoventi, autoblindo, anfibi, jeep, autocarri, per lo più di fabbricazione americana, inglese canadese e italiana. Tra loro spicca una delle “star” del museo, quel carro-armato Sherman M4 che molti ricorderanno nelle scene finali de “La vita è bella”, il film di Roberto Benigni vincitore di Cannes nel ’98 e di tre Oscar nel ’99, ma che ha partecipato anche alle riprese de “Il paziente inglese”, vincitore di ben nove premi Oscar nel ’97 e di “Malena”, film questo con la bellissima Monica Bellucci come protagonista.

E dopo i veicoli militari, ecco gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, quando a El Alamein migliaia di giovani vite andarono perdute in una battaglia che, insieme a quella di Stalingrado, ha rappresentato uno dei momenti decisivi del conflitto. Di grande effetto l’allestimento di questo padiglione intitolato Da El Alamein a Messina e Salerno: i visitatori vengono accolti dalle immagini dell’annuncio di Mussolini dell’ingresso dell’Italia in guerra, a cui seguono la mobilitazione delle forze armate e la partenza dei nostri soldati per i vari fronti. Così si arriva in Africa settentrionale, in un avamposto italiano nel deserto libico. Da qui partirà la nostra prima offensiva, lì transiteranno le nostre truppe ricacciate indietro dalle esigue, ma meglio organizzate, divisioni inglesi. E sempre in Libia, a Tripoli, sbarcheranno le truppe tedesche dell’Afrika Korps guidate dal mitico Rommel, che qui si costruirà la fama di “volpe del deserto”. Ma ora tutto si è fatto buio! E svoltato un angolo…… scoppia una battaglia notturna, con i lampi delle esplosioni, le raffiche di mitragliatrice e le urla del combattimento. Un’avvertenza per i visitatori: questo punto del percorso può cogliere di sorpresa e spaventare, ma lo spirito di chi ha immaginato questa scenografia è chiaro: soltanto così, finendo dentro a uno scontro, seppure virtuale, un individuo può avere un pallido sentore della paura e dello smarrimento che si provano durante un combattimento reale.

Ma El Alamein è stata soltanto l’inizio della fine per le forze dell’Asse. Alcuni mesi più tardi gli Alleati attaccano in Sicilia per poi risalire la penisola ed effettuare un nuovo sbarco sulle coste di Salerno. Dalle feritoie di uno dei bunker sulla costa campana, perfettamente ricostruito, il visitatore potrà vedere riprodotto quello che i difensori scorsero la mattina in cui la flotta alleata si presentò davanti a Salerno. Chiude questo padiglione un’altra delle “star” del museo, lo Sherman DD, un carro-armato anfibio usato per la prima volta in Normandia, recuperato dai fondali davanti le coste laziali nel 2002 e ora visibile dopo un lungo restauro. Ne restano soltanto tre al mondo e quello di Piana delle Orme è l’unico ancora funzionante.

Siamo così all’evento bellico che in qualche modo ha riguardato più da vicino la zona in cui oggi sorge il museo: lo Sbarco ad Anzio. Il 22 gennaio 1944 60 mila uomini su 380 navi si presentarono davanti alle coste laziali per tentare di creare una testa di ponte che permettesse di aggirare le difese tedesche a Cassino e arrivare più facilmente a Roma. L’inerzia e l’inettitudine del comandante americano, che non approfittò della sorpresa generata dallo sbarco, permisero al generale Kesserling, a capo delle forze tedesche in Italia, di bloccare gli Alleati e rendere vana la loro mossa. Roma sarà così liberata soltanto il 4 giugno 1944! E qui troviamo un altro “protagonista” del museo: Skipper”, alla cui storia è dedicata una sezione di questo padiglione. Questo caccia americano Curtiss P 40L era finito in mare davanti al litorale di Latina a causa di un’avaria e il tenente Michael Mauritz, che lo pilotava, si era salvato a nuoto. Recuperato nel gennaio del ’98 e completamente restaurato, a settembre dello stesso anno é stato presentato al pubblico in una cerimonia a cui ha partecipato anche lo stesso Mauritz, rintracciato negli Stati Uniti e tornato in Italia per salutare il suo vecchio “compagno”.

Ma se gli Alleati erano dovuti ricorrere a uno sbarco sul litorale sud del Lazio, la causa andava ricercata nella terribile resistenza opposta dalle forze dell’Asse lungo la linea “Gustav”. E alla Battaglia di Cassino, uno degli episodi più cruenti della campagna italiana e per questo definita anche la “Stalingrado d’Italia”, è dedicato il padiglione successivo. In questo snodo cruciale della linea difensiva tedesca, poche truppe riuscirono a tenere immobilizzate le forze alleate e a far pagare loro un altissimo tributo di sangue. Lungo il percorso si possono così vedere riprodotti in diorami a grandezza naturale una colonna impantanata nel fango, una trincea, un accampamento di fortuna, un ospedale e una stazione radio da campo. Nella parte finale del percorso il visitatore si trova a calpestare le rovine dell’Abbazia di Montecassino in una visione impressionante degli effetti del bombardamento alleato del 15 febbraio 1944. Una serie di immagini dell’entrata del generale Clark nel giugno del ’44 a Roma segna la conclusione di questa seconda sezione del museo dedicata agli eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale.

Bisognerà però attendere la fine di aprile del ‘45 perché il più grande massacro perpetrato dall’umanità si concluda in Italia e in Europa. Lasciando un Paese devastato, privo di tutto, inclusi i mezzi meccanici necessari per far ripartire agricoltura e industria. È a questo punto che la necessità, aguzzando l’ingegno, impose l’Uso civile dei residuati bellici. Nella prima sezione di quest’ultimo padiglione sono esposti alcuni esempi di quei mezzi riadattati a uso agricolo o civile, mentre il resto dello spazio è occupato da un gran numero di mezzi militari di diversa nazionalità, alcuni costruiti anche dopo la guerra.

E così siamo giunti alla fine di un “viaggio” che ci ha fatto rivivere alcuni tra i momenti più importanti della Storia italiana del ‘900. Un percorso lungo e faticoso, fatto di immagini di sofferenza, ma anche di esempi di grande dignità e coraggio offerti dal popolo italiano. Si esce stanchi dalla visita a Piana delle Orme, ma con la certezza di aver toccato con mano la realizzazione di un sogno meraviglioso: il sogno di Mariano De Pasquale. 

* Via Migliara 43,5 – 04010 Borgo Faiti (LT).

Orario estivo: feriali e festivi dalle 9,00 alle 18,00.

Orario invernale: feriali dalle 9,00 alle 16,00, festivi dalle 9,00 alle 17,00.

Ingresso: intero 10,00 euro, ridotto 8,00 euro.

Per informazioni e prenotazioni: tel.: 0773/258708.

Sito internet: www.pianadelleorme.it;

e.mail: info@pianadelleorme

 

 

 

 

 
     
  
Home | Chi sono | Articoli | Link | Contact| News | Webmaster
Giampiero Mazza © 2006     designed by Cierredata srl