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IL MERAVIGLIOSO MONDO DI CHAGALL AL VITTORIANO DI ROMA

 
     
 

Cavalli che volano, donne che sfidano le leggi della gravità e angeli infuocati che precipitano a terra. Tutto l’universo circense del grande maestro russo - in circa 180 opere tra dipinti, gouaches, disegni, sculture e incisioni - è dal 9 marzo scorso riunito per la mostra Chagall delle meraviglie* nelle sale recentemente ristrutturate del Vittoriano di Roma.

È uno spazio della fantasia quello di fronte al quale si trova il visitatore, un mondo che il titolo dato all’evento coglie alla perfezione prendendo a prestito una frase di Louis Argon, teorico del Dadaismo e del Surrealismo che per descrivere la lieve e fantasmagorica ispirazione di Chagall, non trovò di meglio che paragonarla al “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare. Un mondo di sogno, dunque, quello del grande maestro di Vitebsk, la cui “leggerezza” non deve però ingannare: dietro una patina di apparente ingenuità, l’osservatore attento può cogliere una complessa articolazione di esperienze e scelte culturali che va dalle Avanguardie dei primi anni del Novecento alle più evolute correnti artistiche contemporanee. Perché Chagall tutto vide e comprese nel corso della sua lunga esistenza (1887 – 1985), ma a nessun movimento diede mai la sua adesione, sempre fedele al tratto fiabesco della sua poetica interiore, al legame forte con la tradizione ebraica e con le radici profonde che affondavano nella sua anima russa.

"Sils Maria o sole rosso", 1961 - 1964, gouache su carta

Perché “la sua è l’arte della favola eterna” ha ricordato Claudio Strinati, Soprintendente al Polo museale romano nel corso della conferenza stampa di presentazione, quell’arte stralunata per la cui ispirazione Chagall aveva ampiamente attinto al mondo delle vignette popolari della sua terra, quelle lubok diffuse tra i ceti popolari russi dell’Ottocento, in cui la realtà era rappresentata da animali parlanti, personaggi volanti e galli cavalcati da prodi cavalieri. Le stesse atmosfere di molte sue opere.

Fantasia dunque, ma anche attualità del messaggio poetico, elemento questo su cui ha insistito Claudia Zevi, una delle due curatrici della mostra (l’altra è Meret Meyer, nipote dell’artista), ricordando che “le avanguardie del ‘900 hanno avuto il ruolo fondamentale di cambiare la storia dell’arte, ma con il tempo si sono concluse. Invece Chagall continua ancora a parlarci”. Alla base di questo successo, il forte anelito di libertà espressiva contenuto nella sua opera, fattore questo colto con estrema preveggenza dallo storico dell’arte Lionello Venturi che, negli anni ’50, in pieno periodo informale, vedeva nell’artista russo “le forme e i colori” che “daranno ancora gioia all’umanità” quando “molta della pittura che oggi viene esaltata sarà dimenticata”.

 

E infatti ancora oggi resta intatto il valore simbolico del suo immaginario, affollato da feste popolari, rappresentazioni carnevalesche e del teatro ebraico, adunate circensi e ricordi di antiche fiabe, il tutto “condito” da un profondo senso religioso, tanto sentito e sincero da permettere a lui, ebreo chassidico (una corrente del mondo ebraico che non approva la riproduzione della figura umana, ndr), di dipingere una sconvolgente Crocifissione quale momento di supremo sacrificio di un Gesù ebreo fino all’ultimo alito di vita. “Chagall – ha proseguito nel suo ragionamento la Zevi – è stato un uomo religioso, ebreo, ma aperto a tutte le confessioni. Per lui dipingere era una esigenza interiore”. “Ma Chagall era anche russo - ha aggiunto la curatrice – e in lui conviveva la cultura ortodossa, e in particolare quella delle icone, con i loro forti colori e la totale indifferenza alla ripetitività delle formule. Il suo messaggio – ha concluso la Zevi - era che tutte le religioni sono uguali”.

E poi i suoi animali: cavalli, galli, capre; soprattutto "Resistenza", 1937 - 1948, olio su tela, Museé nationalquelle capre “dal volto semita”, per dirla con Umberto Saba, che con i loro occhi ampi sembrano dialogare in ogni quadro con il pittore e l’osservatore. E poi i suoi colori. Accesi sempre, vivissimi alcune volte, sfumati altre, ma con dominanti rosse, verdi e blu. Strisce “impazzite” di rutilanti girandole che attraggono ipnoticamente l’osservatore fino a “risucchiarlo” in uno spazio senza tempo in cui ci si può ritrovare bambini e seduti a tavola con una capra.

Ecco allora che lungo il percorso della mostra si ammirano le stampe popolari, quei lubok così importanti per la formazione di Chagall, pronti a svelarci il loro repertorio iconografico. Seguono i piccoli ritratti, prezioso prestito dei suoi attuali eredi, che ci svelano particolari della sua famiglia: la madre mentre fa il pane, poi i suoi otto fratelli, tutti vittime dei terribili pogrom che colpirono la comunità ebraica nell’Urss di Stalin, mentre il pittore faceva la spola tra Parigi, Berlino e gli Stati Uniti. Opere in cui si vedono le stradine di Vitebsk, il suo paese natale (oggi in Bielorussia), ritratti di un mondo perduto in cui si parlava e si pensava in yiddish, la cultura che Moni Ovadia, scelto come narratore del video che introduce alla mostra, da anni ripropone nei suoi spettacoli. Scene queste in cui il dolore, legato alla gioia di vivere, dà origine a un modo di raccontare la realtà che caratterizzerà tutta la pittura di Chagall. Simbolo di questo travaglio, l’angoscia contenuta ne L’Angelo caduto, uno dei suoi capolavori, iniziato nel ’23 e terminato soltanto nel ‘47. O l’immagine dell’Ebreo Rosso, il cui sguardo torvo, accentuato dall’occhio chiuso e dalle pieghe del volto, diviene il simbolo del capro espiatorio che il popolo eletto ha spesso rappresentato nel corso della storia.

Ma al Vittoriano sono evidenziati anche i diversi periodi della vicenda biografica di Chagall. Dopo le tele ispirate alla sua cittadina di origine (Nudo rosso e La morte), alcune opere, tra cui spicca Autoritratto al cavalletto, testimoniano l’impatto che il cubismo di Picasso ebbe sulla sua pittura nel corso del primo soggiorno a Parigi (1910 – 1914). Perché é nel “ventre di Parigi” che Chagall si lascia catturare dal cubismo, sempre però filtrandolo attraverso la sua poetica visionaria. Ma Parigi vuol dire per Chagall anche un ripensamento sulle sue origini. Emergono così per la prima volta quelle immagini, tratte dalla cultura popolare russa, che caratterizzeranno poi molta della sua produzione: i fiori, gli artisti di strada, gli animali-simbolo.

Dopo quattro anni di Francia, però, la nostalgia per la sua terra lo riconduce in patria. Doveva essere un breve ritorno, ma lì lo coglie la guerra. Nel ‘17 vive così in prima persona la Rivoluzione Russa, appassionandosi agli eventi fino a ricoprire anche delle cariche istituzionali a Vitebsk. "L'ebreo rosso", 1915, olio su cartone, San PietroburgoL’idillio dura poco però, presto azzerato dalla necessità rivoluzionaria di un realismo che non poteva concedersi “svolazzi” fantastici sui tetti di una città. Entra così in conflitto con il Suprematismo di Malevic e ben presto viene allontanato da ogni carica pubblica. In questi stessi e intensi anni (1914 – 1923) si corona il suo sogno d’amore con Bella Rosenfeld, la musa del Ciclo di Vitebsk, che la mostra ricorda con Il Matrimonio, Sulla città, La Passeggiata e Lo specchio.

Dal ’23 è di nuovo a Parigi, artista ormai conosciuto, pronto a dedicarsi a una nuova attività che si va ad aggiungere alla pittura: quella di illustratore. Fu il grande mercante d’arte parigino Vollard ad avere la giusta intuizione: commissionare a Chagall le illustrazioni de “Le anime morte” di Gogol, de “Le favole” di La Fontaine e della “Bibbia”. Negli anni ’30 una nuova e ulteriore evoluzione: iniziano quei viaggi tra Palestina, Italia, Svizzera e Polonia che stimoleranno la sua idea dell’ebreo errante in preghiera.

 

Ma sull’Europa inizia ad aleggiare lo spettro del nazismo e delle atroci persecuzioni che porteranno all’Olocausto. L’ebreo Chagall nel ’40 è costretto all’esilio negli Stati Uniti da cui tornerà soltanto otto anni dopo, a guerra abbondantemente finita per stabilirsi, questa volta in maniera definitiva, in Francia, a Vence. Di questo periodo sono le sue esperienze in ceramica e scultura, come pure la decorazione del soffitto dell’Opera di Parigi, di cui in mostra è esposto il bozzetto autografo. Poi, i temi religiosi, che divengono, con il passare degli anni, sempre più centrali nella vita di Chagall che passa dalla tradizione iconografica ebraica a quella biblica e cristiana senza alcuna esitazione. Il frutto potente e finale di un’ispirazione sempre viva, degna conclusione di un percorso che mai nulla aveva concesso alla convenzione e all’ipocrisia, è il Cristo, vestito dei tradizionali abiti ebraici, che Chagall dipinge sulla Croce. In questo grande trittico intitolato Resistenza, Resurrezione, Liberazione, Chagall non fa che confermare, se mai ce ne fosse stato bisogno, la sua natura profonda, permeata da uno spiritualismo che lo aveva spinto a sentirsi e definirsi “un mistico. Io non vado in chiesa o in sinagoga. Per me lavorare è pregare”.

 

*Fino al 1 luglio 2007. Orario: dal lunedì al giovedì dalle 9.30 alle 19.30, il venerdì e il sabato fino alle 23.30, la domenica fino alle 20.30. Ingresso: intero 10 euro, ridotto 7,50 euro. Info allo 066780664.

 

 

 

 
     
  
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