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L’OTTOCENTO ITALIANO ALLE SCUDERIE DEL QUIRINALE

 
     
 

Dai “Pugilatori” di Antonio Canova al “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo. Senza per questo trascurare Francesco Hayez e il suo “Bacio” e Gaetano Previati con la sua “Maternità”. Un secolo di arte italiana raccontato per la prima volta da oltre cento opere esposte a Roma, alle Scuderie del Quirinale*, fino al 10 giugno.

Un viaggio nel passato, quello della mostra “Ottocento. Da Canova al Quarto Stato”, per raccontare attraverso il linguaggio universale dell’arte, le passioni, le speranze, le disillusioni di un’epoca tanto importante per la storia italiana. “Tutte le opere – spiegano Maria Vittoria Marini Clarelli, Fernando Mazzocca e Carlo Sisi, curatori della mostra – sono state collocate in un dialogo immediato ed emozionate, e segnano in una dimensione eroica, quella dell’arte come impegno di fronte alla società e alla storia, l’inizio e il termine di un Ottocento che non ha smarrito, pur attraverso radicali e dolorose trasformazioni, il senso della grande tradizione italiana”. E per segnare i momenti importanti di questo percorso artistico, che è anche un percorso storico e ideale, sono state dislocate, in punti nodali, alcune tra le opere più importanti di artisti come Canova, Vela, Dupré, Gemito e Medardo Rosso. Anzi, per spiazzare ancora di più chi ha a lungo considerato l’Ottocento un secolo in cui l’arte era caratterizzata da pizzi, merletti, eroici patrioti e languide fanciulle, i curatori hanno voluto che ad aprire l’esposizione fosse il simbolismo della “Maternità” di Gaetano Previati, un capolavoro di tecnica e colori che tanto scandalo suscitò alla Triennale di Biella del 1891, ma anticipatore di quella disgregazione del linguaggio pittorico che sarà poi realizzata dal Futurismo nel secondo decennio del Novecento. A seguire il “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo del 1901, simbolo di un Paese, l’Italia post-unitaria, che marcia verso il progresso. A chiudere il trittico iniziale, voluto dai curatori, la perfezione neoclassica di Creugante e Damosseno, “I Pugilatori” che Antonio Canova trasforma in marmi di bellezza senza pari, opera iniziata nel 1795, terminata nei primi anni dell’800 e scolpita per sostituire i due colossi antichi di Piazza del Quirinale “trasferiti” da Napoleone in Francia. “Tutte le opere esposte – ha spiegato Carlo Sisi – sono importanti dal punto di vista formale, come se fossero parole e frasi di un unico discorso. Esse ripercorrono le inquietudini di un secolo fondamentale nella nostra storia. Non a caso – ha proseguito Sisi – il percorso ideale della mostra parte dalla forma rigorosa delle sculture di Canova, presente con i Pugilatori, per chiudersi con il Quarto Stato, opera che, con la rappresentazione della nuova classe sociale degli operai, dice addio al mondo contadino e si affaccia alla realtà urbana della città, segnando inevitabilmente la fine dell’Ottocento e aprendo progressivamente a quelli che poi saranno gli scenari metallici di Boccioni e dei Futuristi”. Un modo insomma per segnare in una dimensione eroica, quella dell’arte come impegno di fronte alla società e alla storia, l’inizio e il termine di un Ottocento che non ha smarrito, pur attraverso dolorose e radicali trasformazioni, il senso della grande tradizione italiana. Un’opera, “Il Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo, grande non solo per il suo valore artistico, ma anche per le sue dimensioni, con i suoi 283 centimetri di altezza e i 5 metri di larghezza. Su questa tela viene rappresentata, in uno scenario suggestivo e autorevole che ricorda la “Scuola di Atene” di Raffaello, l’ascesa di una nuova classe sociale, il proletariato, che si andava ad aggiungere alle tre classi già riconosciute dalla Rivoluzione Francese: clero, nobiltà e borghesia.

È da qui che si dipana il fil rouge di una esposizione che con le sue 130 opere, tra dipinti e sculture, spazia dalla stagione neoclassica e napoleonica fino al romanticismo, dalle ricerche della “Macchia” e del Verismo alle raffinatezze degli italiani di Parigi, dalle inquietudini della Scapigliatura al virtuosismo cromatico dei divisionisti. E sono queste storie, raccontate attraverso l’arte di pittori e scultori straordinari di Roma, Milano, Firenze e Napoli, a creare una nuova idea del bello, molto più vicina alle inquietudini di quello che presto sarebbe stato definito “l’uomo moderno”. La loro reazione alle regole classiche e spesso immutabili dell’Accademia, è capace di produrre capolavori imperniati sulle semplici vicende della quotidianità, sui misteriosi percorsi dell’anima.

Ma un simile risultato l’arte italiana lo ha raggiunto transitando attraverso le numerose fasi che ne hanno caratterizzato lo sviluppo nel corso del XIX secolo, e in primis quella romantica, a cui si richiama una tra le più importanti opere esposte in questi giorni alle Scuderie, “Il Bacio” di Francesco Hayez. Scelto anche per il manifesto della mostra, questo dipinto, che raramente lascia le sale della Pinacoteca di Brera da quando, nel 1859, venne presentato nel corso dell’esposizione che festeggiava l’ingresso a Milano di Vittorio Emanuele II e Napoleone III, individua due momenti ideali dell’epoca: l’amore dei due amanti ritratti che si scambiano un ultimo bacio e l’amore per la Patria, incarnato dall’uomo che saluta la sua compagna prima di partire volontario per la guerra. La magia irreale della sua luce e la trasparente lucentezza dei suoi colori ispireranno nel 1954 Luchino Visconti per “Senso”, il capolavoro indimenticabile e struggente del grande regista milanese sul nostro Risorgimento. Ma Hayez non è presente in mostra soltanto con quella che è pur sempre la sua opera di riferimento, ma anche con altri splendidi ritratti e sensuali nudi femminili: dal “Pensiero malinconico” alla “Principessa Belgioioso”, dal “Ritratto della contessa Teresa Zumali con figlio” al “Consiglio alla vendetta” e a “Venere che scherza con due colombe”.

A seguire i molti ritratti. Quello di Napoleone Bonaparte, Presidente della Repubblica italiana, di Andrea Appiani, prima immagine autorizzata dell’Imperatore francese; e poi la “rivoluzione della Macchia”, con i suoi colori saturi di luce e la variazione dei rapporti tonali. Smaglianti tavolette accese dai gialli, dai rossi e dagli azzurri illustrano le malinconiche scene familiari di Silvestro Lega, come i suoi “Canto di uno stornello” e la “Lezione”; le stesse tonalità animano gli intensi ritratti e i “Bagni della Rotonda Palmieri” di Giovanni Fattori. E poi la monumentale “Alzaia” di Telemaco Signorini. Opere che appaiono subito di grande qualità, pari, se non superiore, a quella dei capolavori del tempo di autori di altri Paesi europei, inclusa la Francia. Con in più le emozioni, le passioni e le speranze di una Nazione in lotta per la sua indipendenza e per un mondo socialmente più giusto.

Un universo, quello italiano di fine ‘800, che si appresta alla Modernità, tra caffè, teatri, colazioni in giardino e al Bois de Boulogne, descritte tutte nelle opere di De Nittis, Zandomeneghi e Boldini. E tra l’impressionismo italiano e la Macchia, sfila la “Scapigliatura” di Tranquillo Cremona, il Realismo Visionario di Domenico Morelli e di Federico Faruffini, presente a Roma con la sua splendida “Lettrice”. L’Ottocento - e la mostra - si chiudono con la pittura intensa, mistica e visionaria di Giovanni Segantini e Gaetano Previati seguita da quella a valenza sociale di Morbelli, Novellini e dello stesso Pellizza da Volpedo. Ma del periodo non sono esposti soltanto i dipinti, anche le ardite costruzioni plastiche di Adriano Cecioni, Vincenzo Gemito e, infine, Medardo Rosso, in mostra con il “Ritratto di Yvette Guibert”, primo artista in Italia ad applicare alla scultura i principi impressionisti. Molti di questi autori transitano da una dimensione naturalistica alle inquietudini del Simbolismo, rimettendo di volta in volta in gioco il proprio modo di vedere e di interpretare la realtà, iniziando così, negli stessi anni in cui uno sconosciuto dottore di Vienna prendeva a indagare nei meandri della psiche umana, il loro personale viaggio nei territori oscuri dell’inconscio individuale e collettivo.

 

*Via XXIV Maggio, 16. Orario: da domenica a giovedì dalle 10,00 alle 20,00; il venerdì e il sabato dalle 10,00 alle 22,30. Prezzi: intero 10 euro, ridotto 7,50 euro; Sito internet: www.scuderiequirinale.it.

 

 
     
  
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